Inaspettatamente in lizza per il Premio Strega 2018, il romanzo d'esordio di Giorgio Biferali è una di quelle storie d'amore propriamente romane. Di quelle che la tradizione del genere – da La Dolce Vita in poi - ci insegna a collocare con facili associazioni mentali ai bar, ai sanpietrini, ai nasoni e alle piccole vie di Trastevere. Lì dove innamorarsi è un attimo, forse anche troppo veloce.
L'amore a vent'anni (Tunué 2018) è un primo romanzo, ma ha una scrittura forte, già matura. Biferali gioca con l'innovazione senza inibirsi, sperimenta nuovi impianti rimescolandoli con un stile personalissimo: svincola i discorsi diretti dal dispotismo del virgolettato; dissolve e ricompatta il tempo e lo spazio, muovendosi come un regista in un moderno film d'essai.
L'abilità nella scrittura è il vero segreto di questo romanzo, che altrimenti non potrebbe reggersi sulla sola storia di Giulio e Silvia. Un amore un po' stereotipato, poco credibile, piegato da quell'urgenza dell'autore di parlare di sé e dei propri gusti che spinge con troppa, narcisistica veemenza sotto la pellicola di protezione della finzione letteraria. Anche il titolo, L'amore a vent'anni, è un prestito un po' vanitoso dall'omonimo film di Truffaut.
Giulio è un ingenuo romantico, cresciuto in una famiglia normale - con un padre e una madre che si amano, o che almeno si rispettano -, in una cameretta che conserva ancora la collezione dei coccodritti e dei fantasmini fosforescenti. Silvia è la donna perfetta – innaturalmente perfetta – che ha un anacronistico atteggiamento bohémien, in una Roma di Whatsapp e localizzatori, e che ha una visione un po' diversa dell'amore rispetto a Giulio; di certo meno duratura. Biferali affida a un colpo di scena il compito di rovesciare le sorti della storia ma, anche in questo caso, la scelta dell'autore si rivela troppo debole: un calco in vero stile Beautiful.
La magnifica agilità con cui Biferali sa destreggiarsi con la scrittura è l'unico vero motivo per cui valga la pena leggere questo primo romanzo. Al lettore più scettico basterà sfogliare le prime cinque o sei pagine in libreria per convincersi che valga la pena andare avanti.
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