Brutte notizie per chi ha uno sguardo critico sul mondo. Potrebbe finire sulle liste di proscrizione di qualche giornale mainstream, come è accaduto proprio l’anno scorso ad Alessandro Orsini e ad altri intellettuali che avevano visto comparire la propria foto segnaletica sul “Corriere della Sera”. Erano stati presentati tutti come putiniani o semplicemente avversi al modus operandi di UE e NATO.
Dopo la caduta del Muro di Berlino, i politici e i professionisti dell’informazione, ci avevano raccontato che una nuova epoca di pace e di prosperità era giunta e che potevamo archiviare faticosamente i mali del secolo scorso: i totalitarismi novecenteschi, il nazismo e comunismo. I nostri intellettuali si erano dimenticati di accantonare anche una delle pagine più vergognose dell’Occidente: il maccartismo.
Non è un caso che chi ha una posizione diversa, su qualsiasi argomento, UE, Euro, NATO, o su qualsiasi altro termine contrario al “politicamente corretto”, venga delegittimato con etichette create ad hoc per silenziare automaticamente un dibattito sui temi più caldi, ed eppure se c’è una cosa per cui le democrazie dovrebbero vantarsi è proprio quello di dare spazio alle voci che cantano fuori dal coro.
Scriviamola tutta, assistiamo al paradosso che chi controlla i poteri forti e ne detta la linea comunicativa fa orecchie da mercante nei riguardi di chi pubblica in rete sciocchezze di poco conto, ma è pronto a effettuare uno shadow ban o un vero e proprio boicottaggio nei riguardi di chi esprime innocentemente il proprio dissenso.
Questo trattamento è stato subito da influencer, opinion leader, giornalisti e da quelle notizie che possono disturbare il manovratore.
Non è un caso che la proposta di referendum “contro le armi”, promosso dall’intellettuale Enzo Pennetta, sia rimasto in sordina sui grandi giornaloni, come anche le idee di chi diffonde il proprio pensiero con la musica.
Ultimamente, come ripotato da diversi giornali, dal “Secolo XIX”, da “La Repubblica”, o semplicemente dall’Ansa, alla pianista ucraina, Valentina Lisitsa, è stato vietato di suonare al Lerici music Festival perché l’artista si è sempre schierata a favore dell’avanzata russa. Infatti, la sua posizione si è aggravata quando , dopo la conquista da parte dell’esercito della Federazione Russa, ha suonato a Mariupol. Un’onta da cancellare con un abiura, voluta dagli organizzatori della manifestazione canora che, purtroppo, come segnala anche “Byoblu,” non è arrivata ed è per questo motivo che è scattata la censura nei suoi confronti. Peccato, però, che a nessuno sia venuto il dubbio che la regina di Rachmaninov non è sostenitrice di Putin, come scritto dai giornali locali, ma è sostenitrice di quelle popolazioni del Donbass, ucraine come lei, che da anni sono vittime del giogo del governo ucraino, come denunciato, ben prima dello scoppio della guerra, da pochissimi giornalisti.
La russofobia non ha risparmiato neanche l’ex leader dei Pink Floyd, Roger Waters, che da sempre manifesta il suo odio per le guerre, per le occupazioni, per le violazioni dei diritti dell’uomo. Il cantante britannico è una delle poche voci rimaste a scagliarsi contro l’odiosa occupazione israeliana. Per questo era già finito sotto la lente di ingrandimento dei mass media, soltanto che da quando si è espresso contro il Governo di Kiev si sta alzando un polverone nei confronti dei suoi spettacoli perché evocano alcune scene tratte dal film “The Wall” in cui il protagonista indossa una divisa nazista che nei live il bassista ha sempre messo.
Peccato che il film è del 1982 e Waters rievoca le scene incriminate da oltre 30 anni proprio per ricordare che per colpa della Germania nazista suo padre perse la vita, ma se davvero gli si voleva rivolgerge un’accusa di antisemitismo, bisognava farlo allora e non di certo adesso.
Ma voi vi immaginate se negli anni ’60 avessero imbavagliato Bob Dylan o Joan Baez per le loro posizioni contro il Vietnam? O addirittura cosa avrebbero detto a Jovanotti, a Ligabue e Piero Pelu se oggi avessero pubblicato “Il mio nome è mai più?”
Non lo sappiamo e non vogliamo neanche immaginare se gli artisti citati avrebbero subito censura o pressioni, ma ci piace ricordare che la libertà di espressione è un diritto inalienabile dell’uomo, un diritto che, come recita la nostra carta costituzionale, può essere esercitato in qualunque forma. Un musicista o un cantante lo comunica nel modo in cui sa fare meglio: con la sua arte. Molti artisti sentono un dovere morale nei confronti della società: svegliare le coscienze dal torpore di un Occidentale che pensa di appartenere a un’enclave intaccabile e sicura, e non si rende conto che in quell’ enclave, come diceva Orwell, l’unica libertà è quella di non trasgredire i dettami del grande fratello.
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