25 anni senza Fabrizio De André

Domenica, 21 Gennaio 2024 00:00
  

L’ultimo grande poeta della musica italiana che ha saputo descrivere la vita degli emarginati e raccontare i vizi grotteschi di una borghesia con la puzza sotto al naso ci lasciò venticinque anni fa in fredda giornata di gennaio.

Fabrizio De André, con la sua particolare voce baritonale, mise alla berlina personaggi come medici e giudici e scavò nell’animo di prostitute, transessuali, nani, matti, malati di cuore, descritti tutti con una sagacia forte e unica che resero il cantastorie genovese un personaggio unico nel panorama della musica italiana.

 

Ben inteso, all’estero i menestrelli Bob Dylan e Leonard Cohen descrissero la monotonia delle persone comuni, ma De André riuscì ad andare al di là della semplice ballata folk, perché inserì nei suoi testi elementi di natura medievale o, come gli piaceva ricordare, provenzale.

Molti cantanti della sua stessa generazione si innamorarono dalle sonorità d’oltre oceano e da queste presero spunto per i loro brani.

Faber guardava e ascoltava quel mondo con disincanto perché non gli interessava raggiungere le vette delle hit parade seguendo la scia del momento. Influenzato da chansonnier francesi, come Brassens, di cui cantò in italiano alcuni suoi brani, imparò a guardare la realtà in modo critico e pietoso.

 

Voleva semplicemente dare voce agli ultimi e certo non immaginava che le sue liriche sarebbero entrate nei cuori della gente allora come oggi. Quando il cantautore genovese mosse i primi passi vi furono pseudointellettuali che criticarono le sue canzoni e lo accolsero tiepidamente; tuttavia De André in vita è diventato famoso e conosciuto a livello internazionale e in morte, cosa che pensiamo non avrebbe mai voluto, ha subito un processo di beatificazione anche da parte di quella stampa che inizialmente gli remò contro.

 

Musicalmente De André può definirsi rivoluzionario, infatti fu uno dei primi musicisti, almeno in Italia, a non seguire uno schema preciso, tanto che possiamo citarlo come uno dei capostipiti della World Music. Alcuni compagni di viaggio, come Franz di Cioccio, hanno sottolineato questo suo ecclettismo musicale, capace di superare barriere o generi musicali. Così i suoi brani risultano sregolati sia nella metrica sia nel ritmo.

De André difficilmente può essere catalogato in un genere musicale: rock, pop, folk… è lui il genere!

 

Questo è il personaggio, ma dal punto di vista della persona lui si considerava un uomo qualunque, né santo né predicatore, e come uomo qualunque non era esente da vizi, quali il fumo, che lo condannò a morte con un tumore ai polmoni, e le passioni che lo portarono a volare da “fiore in fiore”.

E sempre l’uomo qualunque, mentre imperversavano gli anni di piombo, per dieci anni, dal ’69 al ’79 De André fu tenuto sotto controllo dal Sisde perché sospettato di essere un simpatizzante delle brigate rosse. Si diffidava di Faber senza disporre di riscontri verosimili. L’unica colpa di questo pericoloso musicista erano i versi della “Storia di un impiegato” che trattano il tema del rapporto dell’individuo con il potere lasciando diversi spazi aperti all’interpretazione.

Soprattutto nel 1976, agli atti, c’è la relazione dell’Antiterrorismo in cui si menziona l’acquisto di un appezzamento di terreno in località Tempio Pausiana (Sassari) dove il cantante avrebbe deciso, secondo gli investigatori, di istituire una comune per extraparlamentari di sinistra. Naturalmente lì non ci fu nessuna comune, ma solo allegri convivi tra amici e il meno allegro sequestro, da parte dei banditi sardi, di Fabrizio e Dori, rilasciati dopo quattro mesi, solo a fronte di un cospicuo riscatto.

 

Oggi la sua eredità musicale è portata avanti, con amore ed entusiasmo, da suo figlio Cristiano in Italia e oltre. Noi speriamo che possa esibirsi anche a Scampia, tra i diseredati, tanto amati da suo padre, che hanno gioito per l’intitolazione dell’auditorium all’VIII municipalità a Faber e per il murales creato da Jorit, a via Labriola. 

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