L’evento canoro dell’anno, il Festival di Sanremo, non pensiate che ci perseguiti soltanto per un’intera settimana, perché i media ne parlano, in bene e in male, per lungo tempo.
Le acclamazioni per i presentatori e per la kermesse si contano a bizzeffe, tuttavia, come al solito, invece di essere solo un momento di relax, diventa anche lo spunto per interminabili polemiche che mai come quest’anno non sono state, né saranno, sterili.
Durante la settimana sanremese il rapper Ghali è stato sotto la lente dei riflettori, reo di aver portato un brano pacifista in un momento in cui alle porte d’Europa, in Ucraina e in Israele, ci sono delle guerre in atto, che speriamo non siano portatrici di venti di guerra mondiale.
Il cantante milanese per aver intonato “Ma, come fate a dire che qui è tutto normale/Per tracciare un confine/Con linee immaginarie bombardate un ospedale/Per un pezzo di terra o per un pezzo di pane/Non c’è mai pace/Ma il prato è verde, più verde, più verde/Sempre più verde (sempre più verde)/Il cielo è blu, blu, blu…” è stato preso di mira prima dalla comunità ebraica e poi dalla dirigenza RAI. A loro dire cantare un brano “pieno di propaganda” è stato inopportuno e sconvolgente visto i fatti del 7 ottobre scorso.
Sebbene Ghali non abbia mai spiegato il significato della sua canzone, ognuno può interpretarla come vuole visto che non si fa riferimento a luoghi e a intenti precisi. Soltanto chi ha la coda di paglia si sente preso di mira perché la contestualizza in Palestina. E poco importa che in circa 4 mesi più di 100.000 palestinesi sono rimasti feriti o dispersi e che chiunque riporti questa semplice verità subisce la scure della censura. Ghali con la sua umiltà e semplicità ha ricordato che in Medio Oriente è in corso un genocidio, ma guai a farlo notare perché si rischia di passare come antisemiti.
Nemmeno si è mancato di puntare il dito verso il cantante partenopeo Geolier già da prima che mettesse piede sul palco perché si sapeva che avrebbe presentato un brano completamente in napoletano: “I p’ me, tu p’ te”. Tuttavia non è la prima volta che a Sanremo viene cantata una canzone in dialetto, basti pensare a tutte quelle volte che su quel palco si è esibito Nino D’Angelo, che in seguito ha raccontato di un sentimento antinapoletano da parte degli addetti ai lavori. Addirittura Gigi D’Alessio, ormai amato da tutti, ha riferito di una certa diffidenza nei suoi confronti, anche quando si è presentato sul palco con la Berté, proprio perché proveniva da una delle città più importanti del Sud.
Quelli che remano sempre contro non hanno mai visto di buon occhio il canto napoletano al Festival, e poiché a pensar male spesso ci si indovina crediamo che le critiche sono state rivolte all’interprete proprio perché proveniva dalla periferia nord di Napoli sempre nell’occhio del ciclone.
Durante la competizione canora, la denigrazione contro il rapper di Miano non è affatto cessata, raggiungendo il suo culmine con i fischi avvenuti in platea e in sala stampa e con illazioni da parte del web che ha incolpato il rapper di aver comprato i voti con i soldi della camorra.
La storia si ripete.
Come al solito chi viene da una periferia problematica viene subito etichettato negativamente. Ma siamo sicuri che se Geolier fosse stato di Posillipo o del Vomero ci sarebbero state le stesse polemiche?
Quello che è successo ci aiuta a riflettere su importanti aspetti sociali e non perdere tempo, come accadeva negli anni passati, sui sospetti di plagio o sui look stravaganti o su diatribe sul palco.
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