Turismo e gentrificazione: il rischio di una napoletanità senza napoletani
Sebbene il tempo in questi giorni ci stia regalando una Napoli grigia, umida, molto inglese, la sua identità visiva all’estero permane: pizza, spaghetti, sole e la squadra di calcio, questi gli elementi che attirano i turisti.
La napoletanità, che attrae più della Cultura stessa (e immensa) che questa città offre, sta conquistando tanti visitatori, anche grazie alla vittoria dello scudetto da parte del Napoli. I festeggiamenti della squadra allenata da Luciano Spalletti hanno infatti puntato ancor di più i riflettori sulla città partenopea.
A marzo Demoskopika aveva previsto un incremento significativo dell’apporto turistico in Campania, con circa 20,8 milioni di presenze (+12,3%) e 5,7 milioni di arrivi (+13,1%), rispetto all’anno precedente. Questi dati comportano una riflessione su una serie di questioni fortemente attuali.
Da un lato, questa maggiore riconoscibilità e visibilità di Napoli all’estero, e non solo, va ad alimentare un bisogno espresso dal concetto dell’antropologia demartiniana di “presenza” di un popolo sempre relegato ad un luogo che fatica ad emergere. Dall’altro lato, però, l’arrivo di queste orde di turisti, e il conseguente allontanamento di molti residenti dai luoghi di interesse, in particolare dal centro storico della città, finiscono per annullare la partecipazione dei napoletani stessi al concetto di presenza espresso da De Martino.
Chi infatti possedeva una o più case nel centro storico di Napoli si è subito reso conto di quanto potesse essere redditizio utilizzarle come appartamenti vacanze. Ciò ha innescato una corsa ai profitti, che ha innalzato il mercato immobiliare.
Infatti, secondo alcuni dati della prefettura l’inizio del 2023 avrebbe visto oltre 10.000 sfratti esecutivi, rendendo quindi sempre più difficile la possibilità di trovare case in affitto. Situazione che tra l’altro va anche a scapito di un processo di rivalutazione del territorio: l’aumento dei prezzi rende più difficile la possibilità di trovare casa, da parte di famiglie, giovani lavoratori e soprattutto studenti, quest’ultimi fondamentali per determinati processi di rinascita territoriale.
Ad aggiungersi alla questione del caro affitti, c’è anche quella riguardante l’occupazione senza limiti del suolo pubblico da parte di ristoranti e bar. Durante la pandemia, infatti, l’impossibilità di stare al chiuso ha permesso, giustamente, a diversi servizi la possibilità di usufruire del suolo cittadino, ma come spesso accade in queste occasioni, la situazione è ora degenerata, rendendo i quartieri dei luoghi di aggregazione culinaria a cielo aperto (rendendo così anche fisicamente difficile il passaggio di pedoni e auto).
Questo meccanismo speculativo ha allontanato sempre di più gli abitanti dalla propria città, ponendo molte persone in difficoltà economica e lavorativa, in una condizione di emergenza abitativa e a costringerli a lasciare il centro della città, che fino a qualche anno fa era una delle zone economicamente più accessibili.
I flussi turistici hanno accelerato un processo di gentrificazione, favorito anche dalla globalizzazione.
“Gentrificazione” è un “termine coniato nel 1964 da Ruth Glass, con il quale si intende quel fenomeno di “rigenerazione e rinnov”amento delle aree urbane che manifesta, dal punto di vista sociale e spaziale, la transizione dall’economia industriale a quella postindustriale”. Tale fenomeno nel tempo sta modificando la fisionomia e l’essenza abitativa della città di Napoli.
In particolare, i luoghi che caratterizzavano culturalmente il centro storico, come librerie e bancarelle di libri su via Port’Alba, sono e stanno man mano scomparendo per far posto a bar, ristoranti, negozi o posti di intrattenimento ludico.
È emblematico il caso di due dei cinema storici di Napoli, come il Metropolitan, sito in via Chiaia, che ha appena chiuso i battenti per far spazio ad un’incerta sala Bingo e l’Arcobaleno, nel quartiere Vomero, che ha abbassato le saracinesche proprio durante la pandemia per poi riaprirle sotto forma di uno shop totalmente Made in China.
È chiaro che da un lato un processo di gentrificazione può aiutare una città come Napoli a diventare anche più sicura sotto determinati aspetti, quali ad esempio quello della microcriminalità, ma è anche vero che tutti quegli stereotipi (giusti o sbagliati che siano, ma questo è in discorso che va affrontato in un’altra sede) che attirano tanto i turisti e che trasmettono all’estero l’idea di una napoletaneità, spesso trasformata in una mera macchietta, la quale sta scomparendo insieme agli stessi abitanti della città, costretti a trasferirsi nelle periferie.
Inoltre, se prima non siano stabiliti dei piani di gestione concreti, di tutela del territorio e dei cittadini, si rischia di far crollare un castello di carta a causa della mancanza di servizi e infrastrutture adeguate. Esse servirebbero infatti non solo ad accogliere i numeri eclatanti di visitatori, ma anche a rendere la vita nelle periferie accessibile a tutti.
Ora non è più il caso di arrangiarsi, ma di costruire situazioni stabili in grado di rendere Napoli una vera metropoli.