I Muri della globalizzazione

Domenica, 05 Febbraio 2017 18:42
  

E il mondo? Che accade al mondo? “Mai più muri!”- queste le parole pronunciate nel Novembre 1989, a seguito della caduta del Muro di Berlino, che oggi risultano ingannevoli ed ipocrite. L'era post ideologica inaugurata dal mitizzato 1989 ha portato all'era del capitalismo industriale che ha concepito uno stile di vita che sta letteralmente “uccidendo il mondo”. Un mondo di facciata, che gira intorno all'arte di vendere: pubblicità, marketing e comunicazione. Ci lasciamo alle spalle i valori intellettuali e politici del liberalismo, il bagaglio del pensiero democratico e le intese ragionevoli. L'elezione di Donald Trump ha dato man forte alla gerarchizzazione dell'umanità in base alle etnie e al reddito, alla forza economico-finanziaria e alla potenza di fuoco dei diversi paesi. La volontà e gli obiettivi del nuovo presidente americano sono in primo piano su tutti i quotidiani: la costruzione del muro con il Messico (che già esiste), il divieto all'ingresso di rifugiati e la revoca dei visti ai cittadini di sette paesi islamici di Medio Oriente e Nord Africa (Siria, Libia, Yemen, Iraq, Iran, Somalia e Sudan). L'ordine esecutivo di Trump contro i migranti ha scatenato una vera e propria battaglia, la sua richiesta di bloccare per 120 giorni il programma di accoglienza dei rifugiati ed il divieto di ingresso per 90 giorni per sette paesi è stata fortemente criticata dall'Ue che ha definito il comportamento del neoeletto inaccettabile.

Angela Merkel è intervenuta sulla questione, spiegando che non c'è nessuna giustificazione a questo provvedimento, contrario a tutti i principi di diritto internazionale della comunità. Ci pensa un giudice federale di Seattle, James Robart, a bloccare il decreto: la diplomazia americana ha ripristinato i circa 60.000 visti per gli Stati Uniti che erano stati revocati. Il presidente vuole il muro per bloccare i messicani e ciò palesa un atteggiamento antidemocratico. I vantaggi economici previsti sono mediocri se non addirittura svantaggiosi. Una tassa del 20% sui prodotti importati dal Messico: è così che Trump intende finanziare la costruzione del muro lungo il confine meridionale degli Stati Uniti. La bilancia commerciale degli Usa con il Messico è negativa, gli Stati Uniti importano più di quanto esportino. Resta da capire quanto questa imposta garantirebbe i soldi necessari per la realizzazione dell'opera-prezzo stimato 15 miliardi di dollari-ma soprattutto quanto influirebbe sui consumatori e sui rapporti commerciali tra USA e Messico. Questo è quello che conta nel ventunesimo secolo: il profitto. Non si riesce a guardare con profondità, non ci si interroga su cosa significhi davvero costruire un muro e dividere le persone, allontanarle. È un paradosso dell'epoca della globalizzazione, ma in seguito all’abbattimento liberatorio del muro di Berlino ovunque sono stati costruiti nuovi muri, ognuno sulla base di un criterio distintivo diverso. Rete e non-luoghi, l'affermarsi di un superamento della topografia del confine, questo siamo noi oggi-così dice il professore Dario Gentili in un suo articolo-un mondo senza confini. C'è differenza tra un muro eretto in corrispondenza di un confine statuale ed un muro cementificato senza alcune legame con un confine. Quest'ultimo non rappresenta un rafforzamento dello Stato, anzi diventa un concetto scevro del senso politico-culturale.

 

Per interpretare a fondo il significato del muro nella nostra epoca dobbiamo analizzare il significato della parola confine.“Con-fine” deriva dal latino finis, che rimanda al significato di solco e alla pratica del tagliare o scavare un solco nel terreno. L’importanza politico-culturale della pratica di “tracciare il solco” nel mondo latino viene dall'analisi del termine rex: il rex è colui che traccia la linea, colui che è incaricato di regere fines, di «tracciare i confini in linea retta». Il finis ha, perciò, una consistenza sacra e simbolica piuttosto che materiale: l’autorità del rex e del potere politico che ne deriva consiste, dunque, nel “tenere la linea”; e più la linea è dritta, più la sua autorità è fondata. Tutto ciò che è al di fuori del confine è disordine e dismisura, ma inevitabilmente una potenza che vuole espandersi deve sconfinare. Al finis è complementare il limes. Limes che deriva appunto da limus-“trasversale, obliquo”-dalla radice lei: “piegare”. Uno dei significati di limes è strada, militarmente fortificata, ma possiamo addurle anche il significato di strada. Sono complementari, ma hanno un'accezione diversa. Se si pensa alla lingua italiana questa differenza non si denota, dato che spesso frontiera è sinonimo di confine. Con la nascita dello Stato moderno in Europa alla linearità del finis latino si aggiunge “con” e sorge il confine statuale. Possiamo quindi concludere che il confine (bound in inglese) è una creazione tipicamente moderna. I muri di oggi manifestano la crisi della sovranità e, più in generale, la crisi della modernità. I primi a costruire i muri furono i Romani; in seguito alle sanguinose guerre di religione agli albori dell’età moderna, al muro è subentrato il confine. Il presupposto necessario del con-fine è che sia un limite condiviso da entrambe le parti: definisce le sovranità dei due territori. Invadere un altro Stato, oltrepassandone il confine, significa sostanzialmente contravvenire al patto di sovranità. Il muro di Berlino appartiene alla logica del confine: quello di due ordini politici e ideologici che fondavano la propria identità sulla contrapposizione. Con la sua caduta è crollato forse il confine più radicale della modernità e si è annunciato il tramonto di un’epoca.

 

Oggi la logica che vige nella costruzione dei muri è quella della frontiera, ma una frontiera statica, che serve a difendere, non a conquistare. Il muro che divide USA e Messico ne è l'emblema. Infatti, il confine è posto e riconosciuto tra due Stati, mentre la frontiera murata è costruita soltanto da una parte, quella degli Stati Uniti, e non contro lo Stato messicano, bensì contro quella moltitudine indistinta di individui che provano a s-confinare illegalmente in territorio americano: i migranti (cosiddetti barbari, privi di logos). Nel mondo globale confini e frontiere piuttosto che venire meno, si moltiplicano. Emblematica resta ancora oggi la costruzione del muro di Israele. Costruito a partire dal 2002, il muro conta circa 600 km di lunghezza: l'86 % del totale è situata all'interno della West Bank, ossia la parte lasciata ai Palestinesi per l'autodeterminazione e annette a Israele un ulteriore 9,5 % della Cisgiordania, in cui è situata la maggior parte della barriera. Oggi la civilissima Israele proibisce alla maggior parte dei palestinesi l'accesso, a meno che non si possieda uno speciale permesso.

Possiamo ricordare anche la barriera che separa due nazioni: Corea del Nord e Corea del Sud, la nazione più isolata del mondo da una parte e una delle più moderne dall’altra. Tracciata in coincidenza con il 38° parallelo Nord, taglia la penisola coreana in due. La linea fu stabilita dall’armistizio che concluse la Guerra di Corea, nel 1953. È uno dei confini più armati del mondo: oltre mille posti di blocco e due milioni di soldati in perenne assetto di combattimento. Ufficialmente, infatti, le due nazioni sono ancora in guerra tra loro.

Ancora a Belfast, l'esempio più lampante di una città che ancora vive la divisione sulla pelle, sono i muri che dappertutto dividono cattolici e protestanti, detti "peace lines" perchè, concepiti all'inizio degli anni '70, dovevano evitare qualsiasi contatto tra i contendenti. Cemento e filo spinato che dividono caseggiati, scuole, pub, negozi. Muri che parlano, ovviamente, come a suo tempo quello berlinese, con i graffiti e murales dei militanti e le scritte dei bambini. Uno studio realizzato nel 2012 indicava che il 69% della popolazione considerava le barriere ancora necessarie a causa delle potenziali violenze. Muri però che verranno presto abbattuti, ma la difficoltà maggiore sarà riuscire ad avvicinare uomini e donne che non hanno mai comunicato; che hanno vissuto sotto lo stesso cielo d'Irlanda, ma, in certi casi, non si sono mai visti nemmeno in faccia. Non si smette di mettere in piedi altre barriere: sono stati realizzati i 2/3 della frontiera di 900 km tra Turchia e Siria, necessaria per arrestare il flusso migratorio e il passaggio dei terroristi.

 

I muri hanno caratterizzato la storia dell'uomo, ognuno con funzione diversa. Ci sono quelli di prescrizione, il cui fine non è non frequentare qualcuno, ma controllarlo. I muri dei lazzaretti, le zone di reclusorio isolate dal resto della città negli episodi di epidemie, sono esempi di questo tipo insieme ai ghetti ebraici che si diffondono in Europa a partire dal '500. Ci sono quei muri invece che non si vedono, invisibili ai nostri occhi, ma che sono paradigma della nostra “civiltà”. Quello del denaro che genera meccanismi beceri e sleali e comporta un fenomeno di divisioni in classi. Oggi le persone si definiscono in base a ciò che hanno, al loro potere economico, senza andare oltre. Questo è quello che ci ha riservato l'epoca del post moderno e che ci fa porre la domanda se l'uomo abbia bisogno di muri. La risposta è sì, l'uomo non può vivere senza muri, se egli è il primo che li desidera e li necessita. I muri che si creano tra le persone sono costanti, quotidiani. Una persona di colore che teoricamente non viene schedata e differenziata, ma il cui colore della pelle ancora oggi è sintomo di diffidenza e di comportamenti razzisti. Una persona viene differenziata per il suo status, abbiente e meno abbiente. Tutto questo è espressione di una società che ha paura, che di fronte alla guerra implacabile e pietosa e alle difficoltà riesce solo a chiudersi per difendersi, quando dovrebbe aprirsi alla diversità etnica e professare il valore della libertà. È inevitabile, ma immaginare un mondo senza muri è come immaginare una società forte, che non si basi sulla sopraffazione totale e sull'odio tra i popoli. Possibile, ma oggigiorno utopico.

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Giulia Compagnone

Nata a Napoli,frequenta la facoltà di giurisprudenza. Da sempre innamorata della sua meravigliosa città, nonostante i suoi difetti e le sue contraddizioni. Ogni giorno cerca di impegnarsi , di lottare per lei, attraverso azioni pratiche e attraverso la sua scrittura. Non finisce mai di stupirsi di quanto possa dare questa città, malgrado sia un vero e proprio paradiso abitato da diavoli.Ama la cultura e tutto ciò che è legato ad essa ,ha uno spiccato senso civico ed è appassionata di musica e di danza.

Le due sue citazioni preferite sono:" raccontare le cose come stanno vuol dire non subirle" di Roberto Saviano e " vi sono momenti nella vita in cui tacere diventa una colpa e parlare diventa un obbligo. Un dovere civile, una sfida morale,un imperativo categorico al quale non ci si può sottrarre" di Oriana Fallaci.

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